Mi trovo nella mia casa di famiglia a Ischia dove, da sempre, noto che tra gli isolani e i turisti è sempre vivo il ricordo della permanenza sull’isola del sommo scrittore, poeta, drammaturgo e regista teatrale norvegese Henrik Ibsen (1828 –1906). Se ne ricorda la figura anche dopo 150 anni dal suo soggiorno con numerosi eventi, premiazioni letterarie, oltre che intitolazioni di luoghi e enti pubblici (una strada, una scuola e un hotel).

Tra i tanti illustri ospiti che hanno scelto di trascorrere lunghi periodi sull’isola dal secolo XVIII ad oggi, Henrik Ibsen è uno dei pochi ad essere fatto oggetto di omaggio e ricordi continui. Insieme con lui sono ricordati spesso anche la poetessa Vittoria Colonna (1492-1547) e il regista Luchino Visconti (1906-1976). Ibsen arriva a Ischia il 20 maggio del 1867 all’età di 39 anni – già da due anni si trovava in Italia per comporre quelle che poi sarebbero diventate alcune delle sue più importanti opere – e la mattina successiva già bussava a casa dell’amico Vilhelm Bergsøe, scrittore ed entomologo danese, urlando “Salve Schuster Jakob, sei in piedi? Apri, Jakob”. Si erano conosciuti a Roma e Ibsen si divertiva a chiamarlo Jakob o anche skomager (calzolaio), come il personaggio di una sua opera.

Alloggiavano entrambi a Casamicciola, la ridente cittadina famosa per le sue cure termali, le cui molte strutture ricettive erano allora frequentatissime. Bergsøe risiedeva nella panoramica Piccola Sentinella, mentre Ibsen, con la moglie e la figlia, aveva scelto la più modesta Villa Pisani (oggi chiamata Villa Ibsen) a pochi passi dall’amico. Nello stesso periodo c’era anche un gruppo di norvegesi sull’isola, ma Ibsen frequentava soltanto Bergsøe perché non era venuto sull’isola per riposare. Sull’onda del primo successo dell’anno precedente Brand, lavorava ininterrottamente da mattina a sera alla stesura del suo Peer Gynt. A Ischia, infatti, compose i primi tre Atti della famosa opera.
La sera, e immancabilmente tutte le sere, in compagnia del danese uscivano a passeggiare. Le loro mete erano una piccola osteria di Piazza Bagni oppure si dirigevano, attraversando Casamicciola e Lacco lungo la strada panoramica, fino a Forio con un faticoso ritorno. Ibsen diventava proprio un altro, raccontava ogni sorta di storie della Norvegia e gustava il vino di Ischia finché diceva che era tempo di ritornare a casa. Ma non lo diceva proprio sul serio perché ogni volta pregava Bergsøe di consentirgli ancora almeno un ultimo bicchiere! Così bevevano ancora prima di ritornare in albergo al chiaro di luna.

Bergsøe, che amava andare alla scoperta di nuove località e delle tante ricchezze naturalistiche dell’isola anche a motivo dei suoi interessi scientifici, raramente riusciva a convincere Ibsen a compiere delle gite diverse dalle solite uscite serali. Gli riuscì di portarlo solo in gita al promontorio di Punta Imperatore e in scalata verso la vetta del Monte Epomeo. Il norvegese, come si può intuire, non aveva certamente voglia e tempo di scrivere un diario o delle memorie del suo girovagare per l’Europa e tantomeno della permanenza ad Ischia. Abbiamo però la fortuna di avere il gustoso e dettagliato racconto delle loro vicende ischitane da parte dell’amico Bergsøe, pubblicato a Copenaghen nel 1907 con il titolo Herik Ibsen paa Ischia og “fra Piazza del Popolo”, e tradotto in italiano dalla editrice Imagaenaria nel 2001 con il titolo Henrik Ibsen a Ischia.

Padre della drammaturgia moderna, Ibsen si allontanerà dalla sua patria per 27 lunghi anni viaggiando soprattutto tra Dresda e Monaco: una disperata corsa verso la tranquillità creativa per una delusione politica che gli aveva fatto lasciare la Norvegia.

Ischia, 20 dicembre 2020
Chiara Morelli